IL TRIBUNALE

    Letti  gli atti del procedimento a carico di Nefzi Samir, nato in
Tunisia   l'11   luglio  1971,  imputato,  nell'ambito  del  giudizio
abbreviato avviato a seguito della convalida di arresto in flagranza,
del  reato  di  cui  agli artt. 110 c.p. e 73 d.P.R. n. 309/1990, per
aver  detenuto  a  fine di cessione un quantitativo di hashish pari a
gr.  107,60, sufficiente per la preparazione di circa 320 dosi, e per
aver ceduto un quantitativo a tale Panico Tiziana;
    Rilevato   che  al  predetto  e'  stata  contestata  la  recidiva
reiterata  specifica,  di  cui  all'art.  99, quarto comma c.p., come
modificato dall'art. 4 legge n. 251/2005;
    Atteso  che in base all'entita' dei precedenti, pur applicando il
criterio  di  cui  all'art. 99  u.c.  c.p.,  l'aumento di pena per la
recidiva  nel  caso  di specie, a fronte dell'irrogazione di una pena
base  pari  al  minimo,  cioe'  ad  anni  sei  di reclusione e multa,
dovrebbe  corrispondere  all'intera  frazione  dei due terzi, pari ad
anni  quattro, salva la riduzione di cui all'art. 442 c.p.p., essendo
peraltro   non   prospettabile  l'applicazione  di  attenuanti  e  la
formulazione di un giudizio di comparazione;
    Valutata  l'eccezione  di illegittimita' costituzionale dell'art.
99,  quarto comma c.p., per contrasto con gli artt. 3, 25 e 27 Cost.,
sollevata dalla difesa dell'imputato;
    Atteso che in effetti la questione di legittimita' non puo' dirsi
manifestamente  infondata,  in  relazione  agli artt. 3 e 27, primo e
terzo comma Cost., nei termini che seguono,

                            O s s e r v a

    1.  -  Il  legislatore  dispone  di  ampia discrezionalita' nella
determinazione  delle  pene,  mentre  il  giudice  deve  a  sua volta
procedere  alla  determinazione  della  pena  da irrogare in concreto
entro   i   limiti   stabiliti   e   nell'esercizio  della  sfera  di
discrezionalita' riservatagli.
    Ma tanto il legislatore quanto il giudice non possono prescindere
dalla  considerazione  delle  finalita'  della  pena, in primis della
necessaria  destinazione  della sanzione penale alla rieducazione del
condannato.
    Ed  invero, a coronamento di una lenta evoluzione interpretativa,
la  Corte  costituzionale ha rilevato nella sentenza n. 313/1990 che,
se  la  pena  non puo' non avere un contenuto afflittivo e se ad essa
ineriscono  caratteri  di  difesa  sociale e di prevenzione generale,
tuttavia   non   puo'   in  alcun  modo  pregiudicarsi  la  finalita'
rieducativa espressamente consacrata dall'art. 27, terzo comma Cost.,
non essendo consentito strumentalizzare l'individuo per fini generali
di  politica  criminale  o  privilegiare  la soddisfazione di bisogni
collettivi d stabilita' e sicurezza.
    Secondo   la   Corte   costituzionale  in  pratica  la  finalita'
rieducativa non e' estranea alla legittimazione e alla funzione della
pena.
    La circostanza che, secondo il tenore della norma costituzionale,
la  pena debba tendere alla rieducazione sta ad indicare una qualita'
essenziale di essa nel suo contenuto ontologico, a partire dalla fase
della  previsione  fino  a  quella  della  sua  estinzione, dovendosi
correlare   al  verbo  «tendere»  la  concreta  possibilita'  di  una
divaricazione  tra  la finalita' e l'adesione ad essa del soggetto da
rieducare.
    In  pratica,  tutto  cio'  implica  che  la finalita' rieducativa
rilevi  non  solo  nella  fase  dell'esecuzione,  come  affermato  in
precedenti  e  anche  remote  sentenze della Corte costituzionale (si
consideri  ad  es.  la  sentenza n. 12/1966), ma piu' in generale, in
quanto  connaturata  alla  pena,  in ogni fase, compresa quella della
previsione  e  della  sua  irrogazione,  dovendosi  ritenere  che  il
precetto  dell'art. 27,  terzo comma Cost. vincoli sia il legislatore
sia   il  giudice  della  cognizione,  prima  che  il  giudice  della
sorveglianza.
    Del   resto   sul   piano   della   disciplina  positiva  si  era
concretamente  stabilito  che  la  finalita'  risocializzante dovesse
essere tenuta presente dal giudice gia' in sede di sostituzione della
pena detentiva agli effetti degli artt. 53 e segg. legge n. 689/1981,
segno  evidente  di una diretta influenza, per cosi' dire ontologica,
della rieducazione e della risocializzazione.
    2.  -  In tale prospettiva si pone il problema di stabilire quali
limiti, desumibili dalla Costituzione, il legislatore debba osservare
nel  determinare la pena irrogabile, anche in relazione al caso della
recidiva.
    E'  noto  invero  come  in  astratto  lo strumento piu' idoneo al
conseguimento   della   finalita'  della  pena,  oltre  che  il  piu'
rispettoso  del  principio di uguaglianza, sia quello della mobilita'
della pena, cioe' la predeterminazione di essa entro un limite minimo
e un limite massimo (cosi' gia' Corte costituzionale n. 67/1963).
    Ma  piu'  in  particolare  ha  avuto  modo  di  rilevare la Corte
costituzionale  (cfr.  sentenza n. 50/1980) che l'individualizzazione
della  pena,  in  modo da tenere conto dell'effettiva entita' e delle
specifiche   esigenze   dei  singoli  casi,  si  pone  come  naturale
attuazione  e  sviluppo  dei  principi costituzionali tanto di ordine
generale  (principio  di  uguaglianza)  quanto attinenti direttamente
alla  materia penale, tanto piu' che lo stesso principio di legalita'
della  pena  ex  art.  25,  secondo  comma  Cost.  si inserisce in un
sistema,  in cui si esige la differenziazione piu' che l'uniformita'.
In  tale  quadro,  si  e'  osservato  che  ha  un  ruolo  centrale la
discrezionalita'  giudiziale,  nell'ambito  dei criteri segnati dalla
legge.
    L'adeguamento  della  pena  ai casi concreti contribuisce cosi' a
rendere  il  piu'  possibile  personale la responsabilita' penale, in
ossequio  a  quanto  previsto  dall'art. 27,  primo comma Cost., e ad
assicurare   una   pena  quanto  piu'  possibile  finalizzata,  nella
prospettiva dell'art. 27, terzo comma Cost.
    Il   soddisfacimento  di  tali  presupposti  e  ditali  finalita'
costituisce  anche uno strumento per l'attuazione dell'uguaglianza di
fronte  alla  pena,  intesa come proporzione della pena rispetto alle
personali   responsabilita'  e  alle  esigenze  di  risposta  che  ne
conseguono.
    Ultimo  corollario  di  cio'  e' la tendenziale illegittimita' di
pene   fisse  non  suscettibili  di  adeguata  modulazione  nei  casi
concreti.
    Tali   affermazioni,   espresse  a  chiare  lettere  dalla  Corte
costituzionale  nella sentenza n. 50/1980, sono contenute anche nella
sentenza  n. 299/1992,  nella  quale  si ribadisce fra l'altro che la
determinazione  legislativa  del  minimo  e  del  massimo  della pena
irrogabile  per  ciascun tipo di reato non rappresenta solo un limite
alla    discrezionalita'   giudiziale   ma   costituisce   anche   un
indispensabile  parametro  legislativo  per  l'esercizio  di essa, in
quanto  il  giudice  deve  proporzionare  la sanzione concreta non al
proprio  giudizio  di  disvalore  sul  fatto-reato,  ma alla scala di
graduazione individuata dal minimo al massimo edittali.
    Ma   la   sentenza  n. 299/1992  aggiunge  anche,  precisando  il
concetto,   che   l'individuazione   del   disvalore   oggettivo  dei
fatti-reato  tipici  e  quindi del loro diverso grado di offensivita'
spetta   al   legislatore,  competendo  al  giudice  di  valutare  la
particolarita'  del  caso  singolo  onde  individualizzare  la  pena,
stabilendo  quella  adeguata al caso concreto nella cornice posta dai
limiti edittali.
    La Corte costituzionale ha in genere rimesso alla valutazione dei
singoli  casi  il  giudizio  sulla legittimita' o meno di pene fisse,
riservandosi  di  considerare quali concreti margini di graduabilita'
siano  riservati  al  giudice  (Corte  cost.  n. 475/2002  ha percio'
respinto  le  eccezioni di incostituzionalita' sollevate con riguardo
alla  sanzione  pecuniaria  fissa  prevista  dall'art. 291-bis d.P.R.
n. 43/1973   in  relazione  alla  residua  graduabilita'  della  pena
detentiva).
    3.  -  Sta di fatto pero' che nel caso in cui venga contestata la
recidiva  reiterata  ex  art. 99, quarto comma c.p. e non sussista la
possibilita'  di  un  congruo  giudizio  di  comparazione (cio' anche
prescindendo dal limite, oggi sancito dal riformulato art. 69, quarto
comma   c.p.,   alla   possibilita'   di  considerare  le  attenuanti
prevalenti,  nonche'  dall'ulteriore limite, previsto dal riformulato
art. 62-bis   c.p.,  alla  possibilita'  di  individuare  circostanze
rilevanti  agli  effetti di una diminuzione di pena, ove si tratti di
recidivi   reiterati,   autori  di  gravi  reati),  il  giudice,  pur
disponendo  della  facolta'  di  determinare  la  pena entro i limiti
edittali,  si  trova  poi  ad  irrogare  in caso di condanna una pena
rigidamente aumentata di due terzi.
    Ora,  l'aumento  di  pena per la recidiva non puo' trovare la sua
giustificazione in altro che nell'esigenza di un'adeguata risposta al
reato commesso da chi palesi una particolare proclivita' al delitto.
    Ma  tale  risposta  si  correla  a  ben  guardare  ad  un profilo
soggettivo  («inerente  alla persona del colpevole») e non oggettivo,
cioe'  alla  personalita'  del reo piuttosto che all'offensivita' del
fatto-reato.
    Ed  allora  la discrezionalita' del legislatore nel determinare i
limiti   di  pena  non  puo'  non  trovare  un  limite  nel  disposto
dell'art. 27, primo comma e soprattutto in quello dell'art. 27, terzo
comma  Cost.,  cioe'  in  quei due parametri che, come rilevato dalla
sentenza  n. 50/1980, postulano l'individualizzazione del trattamento
sanzionatorio.
    Cio'  puo'  valere  tanto  piu'  alla luce dei principi enucleati
dalla  sentenza  n. 313/1990  cit., nella quale, come si e' visto, la
finalita'  rieducativa  della  pena e' stata considerata come una sua
qualita'  essenziale  e il precetto dettato dall'art. 27, terzo comma
Cost.  e'  stato  considerato  cogente  anche  per  il legislatore in
funzione  della  necessaria  destinazione della pena ad assicurare un
trattamento rieducativo individualizzato.
    Ma  in  tale  quadro  la  previsione  di  un  aumento rigidamente
fissato,   correlato   ad   un  profilo  di  carattere  eminentemente
soggettivo,  sembra  porsi in contrasto con la finalita' rieducativa,
alla  quale  la pena deve tendere, in quanto ontologicamente inidoneo
ad  assicurare  una  risposta individualizzata, diversa a seconda dei
casi e della concreta personalita' del reo.
    Certamente  spetta  al legislatore di delimitare i limiti massimi
entro  i  quali  l'aumento  di  pena  potrebbe essere fissato, ma non
sembra  che si possa a tale scopo prevedere un aumento fisso, men che
mai  un  aumento  di  notevoli  proporzioni,  destinato fatalmente ad
ignorare  le  peculiarita'  di  ciascun  caso,  da  presumersi invece
sussistenti,  ove  si  consideri  che si tratta di apprezzare un dato
personologico  e  non  estrinseco,  cioe' afferente ai valori sottesi
all'incriminazione e all'offensivita' del fatto.
    L'art.  99,  quarto  comma c.p., come risultante dalle modifiche,
pare  dunque  in  contrasto  con  l'art. 27, primo comma Cost., nella
parte  in  cui  non  assicura  un  trattamento  che  valga  a rendere
«personale»  la responsabilita' penale, e in contrasto con l'art. 27,
terzo  comma  Cost.  nella parte in cui non assicura l'irrogazione di
una pena idonea a conseguire la sua tipica finalita' rieducativa.
    E nel contempo si pone in contrasto con l'art. 3 Cost. implicando
l'irrogazione   di  trattamenti  identici,  a  fronte  di  situazioni
talvolta anche marcatamente diverse.
    Cio'  appare  tanto  piu'  evidente  in tutti i casi in cui siano
previsti  limiti  edittali di per se' elevati e dunque anche nel caso
della  detenzione  illegale e dello spaccio di sostanze stupefacenti,
dovendosi  vieppiu' considerare le recenti modifiche introdotte dalla
legge   n. 49/2006   che   ha  reso  assai  rigoroso  il  trattamento
sanzionatorio  riferito  alle c.d. droghe leggere, ormai equiparate a
tutte le restanti sostanze stupefacenti.
    4.  -  Ma  in  relazione all'art. 3 Cost. si profila un'ulteriore
ragione   di   illegittimita'   della  norma,  conseguente  alla  sua
intrinseca irrazionalita'.
    Infatti  lo  stesso  legislatore  ha  previsto  che  nel  caso di
recidiva  semplice  l'aumento  possa essere di un terzo e nel caso di
recidiva   specifica   o  infraquinquennale  o  durante  oppure  dopo
l'espiazione della pena l'aumento possa essere fino alla meta'.
    Non  si  contesta  in  tale  quadro  il fatto che l'aumento debba
essere obbligatoriamente operato in caso di recidiva reiterata.
    Ma  appare  incongrua  la  determinazione  dell'aumento in misura
fissa,  pari  a  due terzi, in quanto risulta irrazionale ed illogico
che,  a  fronte  della commissione di un ulteriore delitto, magari di
modesta  entita' e scarsamente rilevante sul piano personologico, sia
o  meno  della  stessa indole, si passi automaticamente da un aumento
che  poteva  essere  anche di un solo giorno, entro il limite massimo
della meta', ad un aumento addirittura di due terzi.
    5.  -  Manifestamente infondata s'appalesa la questione sollevata
in  rapporto  al  parametro  dettato  dall'art. 25 Cost., giacche' le
norme  in  materia  di  recidiva  non  si  pongono in contrasto con i
principi  di  materialita'  e  di  tipicita',  cui  quella  norma  fa
riferimento,  principi  che,  come  quello  di  offensivita', vengono
salvaguardati dalla previsione della norma incriminatrice e da quella
di precisi limiti edittali.
    6.  -  In  conclusione  si  appalesa nella specie rilevante e non
manifestamente  infondata la questione di legittimita' costituzionale
dell'art.  99,  quarto  comma c.p., come modificato dall'art. 4 legge
n. 251/2005,  per  contrasto  con  gli artt. 3, 27, primo comma e 27,
terzo comma Cost.